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15 dicembre 2021 Parità salariale: una legge per contrastare la differenza salariale tra uomo e donna
Area Normativa

Parità salariale: una legge per contrastare la differenza salariale tra uomo e donna

La Legge 162 del 2021 modifica il codice delle pari opportunità regolamentando la parità salariale tra uomini e donne.

Legge sulla parità salariale in Italia: le novità

Anche in Italia, da novembre scorso, abbiamo una legge sulla parità salariale. Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, avvenuta lo scorso 18 novembre è in vigore la Legge 162 del 2021 che, in parte modifica il Codice delle pari opportunità, il DL 198/2006, ma aggiunge anche significativi elementi, soprattutto in ambito lavorativo.
La nuova normativa si muove su due binari: da un lato contrastare la differenza salariale tra uomo e donna, dall’altro incentivare l’adozione di provvedimenti che favoriscano la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

Parità salariale tra uomini e donne, cosa cambia?

A partire dal 1° gennaio 2022 è stata prevista l’istituzione della certificazione della parità di genere che, come contropartita, porta al datore di lavoro certificato, la possibilità di accedere ad un esonero dal versamento dei contributi INPS nella percentuale massima dell’1% fino a 50 mila euro annui, oltre agli incentivi già in essere per l’assunzione di personale femminile.

Inoltre, il possesso della certificazione della parità di genere, porta con sé l’ottenimento di un punteggio che garantirà un miglior posizionamento dell’azienda nelle graduatorie che verranno, di volta in volta, considerate dalla autorità competenti nella concessione di aiuti di stato o finanziamenti pubblici, così come nei bandi di gara e nelle procedure per l’acquisizione di servizi e forniture. Il cambio di marcia è notevole, anche se all’atto pratico, mancano ancora i decreti attuativi cui sarà demandata l’individuazione degli indicatori necessari per ottenere la certificazione.

D’altro canto, se la certificazione costituisce una sorta di bollino di qualità, ottenibile come atto volontario, anche se fortemente consigliato, diventa invece obbligatoria la comunicazione biennale del “rapporto periodico sulla situazione del personale maschile e femminile” per le aziende con più di 50 dipendenti; adempimento sin ora riservato solo alle aziende oltre i 100 dipendenti.

Nel rapporto, lo ricordiamo, si deve indicare il numero dei lavoratori occupati di sesso femminile e di sesso maschile, comprese le lavoratrici assunte ed eventualmente in stato di gravidanza, ma anche il rapporto tra assunti di sesso maschile e femminile nel corso dell'anno e le differenze tra le retribuzioni iniziali dei lavoratori di ciascun sesso. Corredano il rapporto l'inquadramento contrattuale e la funzione svolta da ciascun lavoratore occupato, con riferimento alla distribuzione fra i lavoratori dei contratti a tempo pieno e a tempo parziale così come la RAL corrisposta e le componenti accessorie del salario quali bonus e benefit aziendali. 
Nel caso di rapporto mendace o incompleto, è bene ricordarlo, si applica una sanzione che può andare ad da 1.000 sino a 5.000€

Gender pay gap, Cosa cambia con la legge sulla parità retributiva?

Come detto, la neonata Legge 162 interviene anche a modificare aspetti già previsti in precedenza, come l’art. 25 del D. lgs. n. 198/2006, integrando ed ampliando il concetto di discriminazione indiretta. In particolare l’articolo 2 precisa che "costituisce discriminazione ogni trattamento o modifica organizzativa aziendale, anche in relazione ai tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell'età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, oppure in ragione della titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti", ponga il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni:

  1. posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori;
  2. limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali;
  3. limitazione dell'accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera.

In ultimo, un meccanismo più imperativo e meno negoziale, è riservato alle società controllate dalle pubbliche amministrazioni che non siano quotate in mercati regolamentati: a loro è posto l’obbligo di dotarsi di uno statuto che preveda il riparto degli amministratori da eleggere con un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi.