Il concetto di diritto alla disconnessione del lavoratore nasce e si sviluppa in seguito alla diffusione della modalità di lavoro agile (o smart working), regolamentata per la prima volta in Italia dagli art. 18 e ss. della L. 81/2017. Fino a quel momento era una modalità di lavoro poco utilizzata ma, con la pandemia da Covid, ha visto una diffusione di massa e, in molte realtà, è ancora oggi mantenuta.

La diffusione su larga scala dello smart working ha portato alla luce i punti critici: se da una parte permette al lavoratore la possibilità di una migliore gestione del tempo, dall’altra può sfumare il confine tra lavoro e vita privata a favore di una reperibilità continua. Qual è, quindi, il limite? Lo definisce il diritto alla disconnessione.

Cos’è il diritto alla disconnessione per i lavoratori

Per diritto alla disconnessione si intende il diritto del lavoratore di non essere reperibile e non dare seguito alle comunicazioni di lavoro (mail, chiamate, messaggi) durante le ore e i periodi di riposo, senza che questo comprometta il suo rapporto di lavoro. 

Questo diritto è diventato ancora più importante da regolamentare con l’ampia diffusione dello smart working e l’utilizzo dei mezzi di comunicazione digitali. A che punto siamo in Italia sul riconoscimento del diritto alla disconnessione?

Diritto alla disconnessione e smart working

I primi passi vengono fatti con la L. 81/2017 che definisce lo smart working come una diversa modalità di prestare il proprio lavoro, lasciando alla negoziazione tra azienda e lavoratore il compito di individuare, tra le altre cose, le “(…) misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche del lavoro”. 

Non viene quindi riconosciuto per legge e in modo esplicito al lavoratore in smart working il diritto alla disconnessione. Nel 2020, la pandemia da Covid però porta prepotentemente alla luce il rischio che i lavoratori agili hanno di non godere del giusto riposo in questa situazione (secondo una Ricerca Eurofund il 50% in più rispetto ai lavoratori in sede). 

Nel maggio 2020 il Garante della Privacy sottolinea la necessità di una definizione più netta riguardo al diritto di disconnessione in smart working per tutelare la salute dei lavoratori. È così che si arriva al Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile che rappresenta il quadro di riferimento per la definizione delle fasce orarie di disconnessione durante lo smart working.

Problemi legati al mancato diritto alla disconnessione

L’articolo 2087 del Cod. Civ. stabilisce che il datore di lavoro deve garantire e tutelare la salute psico-fisica del lavoratore. Questo deve avvenire anche per gli smart worker e il diritto alla disconnessione serve proprio per prevenire gravi rischi per la salute psicologica, quali:

  • Tecnostress – Dovuto al costante utilizzo dei device tecnologici
  • Burn-out – Dovuto al sovraccarico informativo 

Entrambi comportano ansia, stress, nervosismo e portano a importanti cali della produttività del lavoratore. È fondamentale quindi impostare un metodo di lavoro che contempli il diritto alla disconnessione dello smart worker.

Come l’azienda può garantire il diritto alla disconnessione dei propri dipendenti

Introdurre in azienda il regolamento riguardo il diritto alla disconnessione prevede un cambiamento culturale a tutti i livelli aziendali e, perciò, deve essere ben gestito a livello di comunicazione da parte delle risorse umane perché tutto funzioni al meglio. Devono essere ben chiari:

  • Il contesto a cui si applica
  • Le motivazioni (tutela della salute e miglioramento della produttività in primis)
  • I comportamenti da seguire (dai lavoratori, dai responsabili, dai manager)

Si tratta quindi di un lavoro di analisi, pianificazione e controllo da parte delle risorse umane che costituisce la base per il rispetto del diritto alla disconnessione. Per questo motivo è importante farsi affiancare in questo percorso da realtà specializzate nella consulenza nel campo della gestione del personale. 

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